Quanto, l’aspetto psicologico, influenza le diete?

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Buongiorno, quanto l’aspetto psicologico influenza le diete?

Gentile lettore,


Psicologia e dieta sono strettamente legate, meglio dire che s’influenzano reciprocamente.Il rapporto con il cibo s’intreccia fin dalla nascita con le esperienze affettive, basti pensare all’allattamento, allo svezzamento e a tutti i vissuti emotivi che condizionano queste esperienze. Il cibo diventa un “anestetico” con cui si cerca di eliminare la sofferenza o l’insoddisfazione. Una scorciatoia con cui si tenta di riempire quel vuoto che per qualche ragione si è creato dentro e intorno a noi. Quando questi meccanismi diventano ricorrenti e automatici aumenta il rischio di scivolare verso un disturbo del comportamento alimentare.
Ai giorni d’oggi, è evidente come da un lato, per una larga fascia di popolazione, sia estremamente facile avere a disposizione un gran numero di alimenti (la maggior parte dei quali ipercalorici) ma contemporaneamente i mezzi di comunicazione, lo spettacolo e la moda propongano modelli di magrezza associati al successo personale e sociale. Se è vero che la parola dieta vuol dire esattamente “corretto stile di vita” e non evitare di mangiare, tuttavia, è altrettanto vero che uno dei motivi più frequenti che spinge a iniziare una dieta è proprio la crescente insoddisfazione del proprio corpo, molto spesso dovuta a un continuo confronto con i modelli “imposti” dai canali multi-mediatici. Non va trascurato, inoltre, che il raggiungimento e il mantenimento dei risultati di una dieta sono influenzati fortemente da fattori psicologici di natura affettiva e motivazionale.
Non dobbiamo pensare al cibo come semplice fonte di nutrimento: il mangiare e il cucinare hanno una componente affettiva ed emotiva molto importante che coinvolge la nostra psiche. Alcune aree del nostro cervello (amigdala, ipotalamo, sistema limbico) regolano le emozioni come rabbia, paura, tristezza, felicità e sazietà. Il meccanismo di piacere a livello cerebrale che attiva l’assunzione di cibo soffoca il malessere: a loro volta le sostanze nutritive che assumiamo con il cibo influiscono sui processi biochimici cerebrali, modulando il livello di alcune sostanze chiamate “neurotrasmettitori” in grado di influire sulle quantità di serotonina (l’ormone del buonumore) ed endorfine (con proprietà analgesiche) prodotte a livello cerebrale. Il cibo, in alcuni casi, è solo il mezzo per nascondere o per provare emozioni. Quando mangiamo non stiamo facendo un semplice gesto per introdurre energia (calorie). Nel cibo investiamo emozioni, speranze e desideri inconsci. A chi non è mai capitato, dopo una giornata storta, una delusione, un litigio, di entrare in cucina aprire dispensa e frigo e mangiare in modo eccessivo? Questo comportamento rappresenta uno dei modi per consolarci dalle negatività che la vita ci presenta.
Una dieta sbilanciata produce, altresì, conseguenze negative sulle emozioni e gli atteggiamenti di ogni individuo, chiaramente collegate alla sua componente psichica. Nel cervello, infatti, ha sede la nostra componente psicologica, ma allo stesso tempo è un organo il cui funzionamento dipende anche da quello che mangiamo. Molti nutrienti contenuti negli alimenti possono modulare il funzionamento del sistema nervoso, inibendolo o stimolandolo, e quindi più in generale influenzano la buona salute di molteplici dinamiche psico-fisiche. Per funzionare il sistema nervoso utilizza in particolare il glucosio, che si trova negli zuccheri (detti anche carboidrati), non solo come fonte di energia ma, anche, per mediare importanti neurotrasmettitori, favorendo così la sensazione di benessere, l’attivazione e la tranquillità a livello psicologico. Un’alimentazione scorretta (per scarso, eccessivo e/o squilibrato apporto di alimenti) potrebbe favorire la comparsa di spossatezza fisica, diminuzione delle prestazioni cognitive, squilibri neurali e problemi psicologici da non sottovalutare, come ad esempio tensione e labilità emotiva, ansia, umore altalenante, nervosismo, apatia, suscettibilità, sonno disturbato, etc.
La fame è il risultato di un intricato insieme d’impulsi neuroendocrini attivati da segnali fisici, chimici, meccanici e psicologici. L’organismo umano, che si sottopone a una dieta, soprattutto se molto restrittiva, fa esperienza di limitazioni alimentari che innescano conflitti tra forze antagoniste: il bisogno di nutrirsi, primario e naturale, opposto al tentativo razionale di frenare l’appetito per favorire il dimagrimento. Tenuta sotto controllo, la fame tende ad aumentare facendo ricercare quegli alimenti di cui ci si è privati e inducendo alla trasgressione. Tutto ciò potrebbe generare stati di rimorso per essere caduti nella tentazione. In caso di diete fallimentari e conseguente abbassamento dell’autostima, può essere utile un percorso psicologico tendente a ristabilire una percezione positiva delle proprie capacità e rivolto a favorirne un utilizzo autonomo. Questo percorso avrà effetto sul mantenimento del programma dietetico e servirà a ridurre gli altri fattori stressanti in gioco.
Perché una dieta funzioni non basta andare dal nutrizionista o seguire “diete alla moda”, ma occorre mettersi in stretta relazione con il nostro mondo interiore, con le nostre emozioni e, soprattutto, con il nostro corpo. Spesso si commette l’errore di ascoltare poco il proprio corpo, al contrario quando si decide di fare una dieta bisogna capire se si è psicologicamente preparati e di conseguenza adattare la dieta al proprio profilo psicologico. Insomma compensare la voglia di mangiare con quello che sappiamo possa farci star bene, facendo attenzione a non sovracompensare.
Il punto cruciale di ogni intervento dietoterapico è di lavorare sull’autostima: imparare ad accettarsi, ad amarsi, smettere di odiarsi. Se non ci amiamo abbastanza non saremo mai in grado di prenderci cura di noi stessi.